giovedì 2 febbraio 2017

MA LA VITA, CHE COS'È?



Post n. 30


Prima d affrontare l'argomento, forse, vale la pena fare una brevissima premessa.
La definizione del concetto di vita e di vivente è naturalmente una impresa molto ardua e sono sempre possibili imprecisioni e fraintendimenti. A volte, nell'intento -  magari lodevole di essere precisi e rigorosi -  si finisce per correre il rischio di essere dogmatici e di cadere in conclusioni paradossali, quali quelli che portano a dubitare della qualifica di vivente del mulo soltanto perché è sterile e non può riprodursi.
Quelle che seguono sono dunque considerazione che hanno un fine prevalentemente terminologico (quello di evitare che nella discussione si faccia uso di termini uguali, attribuendo loro significati diversi) e metodologico (quello di circoscrivere la trattazione dell'argomento all'ambito strettamente scientifico-sperimentale).
Se si osservano un cane che abbaia e un sasso sappiamo subito riconoscere cosa è vivo e cosa inanimato. Dare però una definizione scientifica conclusiva che distingua i viventi dal mondo inanimato cioè come definire la vita, per mezzo di osservazioni macroscopiche e di senso comune, è un’impresa difficile. Intorno agli anni settanta del secolo scorso, si inizia a fare una lista delle caratteristiche del vivente. Così, organismo vivente era considerato un sistema capace di nutrirsi, crescere, riprodursi e reagire agli stimoli. La questione è che queste funzioni si riscontrano, singolarmente, anche nel mondo inanimato. Il granulo di un cristallo si “nutre” delle particelle in soluzione e cresce, può spezzarsi e riprodurre un altro cristallo. Si conoscono anche diversi sistemi meccanici che reagiscono ad uno stimolo termico o elettrico. Si è pensato allora di mettere come condizione, per definire un vivente, la presenza simultanea di tutte le caratteristiche sopra elencate. Ma poi, se il cane è gravemente malato e non riesce più a nutrirsi? E gli ibridi, come il mulo che non si riproducono?
La questione fu quindi spostata sulle popolazioni e infatti Maynard Smith in “La teoria dell’evoluzione” 1975, scrive: «Una lista così arbitraria ci serve a poco. Per fortuna la teoria della selezione naturale di Darwin ci dà, invece, una definizione soddisfacente. Noi consideriamo vivente una popolazione formata da entità che hanno la proprietà di moltiplicazione, di ereditarietà e di variabilità». Rimane ancora il problema degli ibridi che non si riproducono.
Agli inizi degli anni `80, come scrive Alessandro Minelli in “Gli albori della vita” Le Scienze”1984, si preferisce lasciare da parte la tentazione di definire il fenomeno “vita”. Verso la fine dello stesso decennio Manfred Eigen, in “Gradini verso la vita” 1987, dedica tutto il primo capitolo a questo argomento e infine conclude: «La domanda: “Che cos’è la vita?” ha molte risposte possibili, nessuna delle quali è soddisfacente […]. Troppo grande è la massa dei fenomeni complessi, troppo diversificati sono i caratteri e i comportamenti dei viventi perché una definizione generale possa avere senso».  Nel 2000, in “Da dove viene la vita”, Paul Davies tenta di dare una chiara idea di che cosa sia la vita e ritorna a proporre una lista. Egli elenca dieci caratteristiche essenziali per definire un vivente e conclude: «Posso riassumere questo elenco di qualità affermando che, in senso lato, la vita sembra coinvolgere due fattori cruciali: il metabolismo e la riproduzione». E gli ibridi?
Con Iris Fly ritorna la futilità di qualsiasi tentativo di “definire” la vita. L’autrice, in “Origine della vita sulla terra” 2002, dopo avere ripercorso alcuni tentativi di definire la vita da parte degli scienziati, conclude: «Chi ha tentato almeno una volta di produrre una definizione della vita ha fatto l’esperienza frustrante di accorgersi che o l’elenco delle sue proprietà è troppo ampio e si applica a sistemi non viventi, oppure è troppo ristretto escludendo alcuni esseri viventi. Una definizione funzionale che si concentri sulla nutrizione, il metabolismo e l’escrezione, potrebbe applicarsi anche ad un automobile, ma non ad un seme dormiente».
Ernst Mayr, in riferimento alla ricerca della vita nello spazio, in “L’unicità della biologia”2004, ritorna sulla necessità di dare una definizione di “vita” e scrive: «Personalmente accetto una definizione ampia: la vita deve essere capace di replicarsi e di usare l’energia ricavata dal sole o da alcune molecole disponibili, come i composti solforati presenti nelle fumarole oceaniche».
Rimane ancora il problema del seme e degli ibridi.
Anche Pier Luigi Luisi in “Sull’origine della vita e della biodiversità” 2013 ritiene utile isolare e definire un denominatore comune che accomuna tutti i viventi. L’autore, come egli stesso scrive, utilizza una metafora semi-seria. Egli immagine un Omino verde, proveniente da un sistema stellare molto lontano con una lista di cose terrestri contenente viventi e non viventi. L’Omino verde incontra un contadino al quale chiede di separare nella lista i viventi dai non viventi. Dopo una serie di obiezioni e chiarimenti finalmente si raggiunge un’intesa e l’Omino verde conclude: «Un sistema da voi è definito vivo se è capace di trasformare il nutrimento esterno in un processo interno di auto-mantenimento e produzione dei propri componenti». Pier Luigi Luisi evidenzia come si è raggiunto una definizione di vivente senza scomodare la biologia molecolare. La definizione comunque non contempla la riproduzione, anche perché nella lista che l’Omino verde mostra al contadino è presente il mulo, che non si riproduce.
 
deposiphotos
È un peccato che nell’elenco presentato dall’Omino verde, proprio ad un contadino, non fosse compreso il seme. Forse il contadino nel seme avrebbe visto già una pianta e quindi la vita. Ma allora la vita sarebbe ciò che si percepisce come vita, una sensazione. Così, se per un contadino il seme è vita forse non lo è per chi vive in città. E rimane anche da definire il cane ammalato.
In conclusione, lista o non lista, da un punto di vista scientifico non esiste una chiara e condivisa definizione di che cosa è la vita. Così, per alcuni il seme è vita mentre per altri non lo è, e lo stesso vale per il cane ammalato che non riesce a nutrirsi e auto mantenersi. Alcune definizioni portano infine all’assurda conclusione di considerare il mulo non vivente.
Ma perché non si riesce a dare una definizione alla vita?
Perché ogni volta che in una lista compaiono metabolismo, riproduzione ed evoluzione, esse vengono proiettate sempre verso il futuro, ma la selezione naturale non conosce il futuro.
Non ha senso una definizione di vita che guarda al futuro se il futuro non si conosce.
E allora, utilizziamo anche noi una metafora e vediamo, senza nessuna pretesa, se il senso comune ci suggerisce una definizione di vita.
In una calda sera d’estate una coppia siede in veranda illuminata da una debole luce. La moglie dice al marito: “È da un po’ che non vedo più il gatto, è sempre venuto tutti i giorni a chiedermi qualcosa”. Il marito conferma: “È vero, anch’io non lo vedo da almeno tre o quattro giorni, pensi che sia morto?” “Non so, risponde la moglie, avrà certamente i suoi anni. E poi, è stato sempre un randagio imprudente, continuamente in giro per tutto il quartiere attraverso le strade qui intorno, di giorno e di notte, e tu sai come queste strade sono ormai trafficate”. La coppia rimane a lungo in silenzio, ma ciascuno si domanda: qual è lo stato del gatto, è vivo o morto? Dopo un po’, dal buio appare il gatto che, con passi felpati, attraversa la veranda e si immerge nuovamente nel buio. Moglie e marito si guardano con soddisfazione, il gatto è vivo. Come hanno fatto a decretare lo stato del gatto? Attraverso l’osservazione. Quindi per decidere cosa è vita ci vuole un osservatore.  Ma l’osservatore è un elemento soggettivo, aleatorio ed è per questo motivo che non c’è accordo sugli ibridi, i semi e il cane ammalato. Per definire il vivente, siamo quindi costretti a fornire all’osservatore qualche elemento in più.
E allora, continuiamo con la nostra metafora.
Come abbiamo descritto, il gatto attraversa la veranda e ritorna nel buio oltre le siepi.
La moglie dice al marito: “Perché è andato via, se aveva fame avrei potuto dargli io qualcosa da mangiare”. “È il suo istinto-risponde il marito-per sopravvivere deve cacciare per nutrirsi”. Ma nutrirsi vuol dire saper utilizzare il nutrimento, cioè trasformarlo in energia e componenti utili all’organismo, in definitiva possedere un sistema metabolico. Noi però non sappiamo se il gatto troverà il nutrimento, potrà non trovarlo e morire di stenti. Sappiamo però che il gatto ha la capacità di nutrirsi e metabolizzare, che ci riesca o no riguarda il futuro, ma nessuno conosce il futuro. Poiché non ha senso un metabolismo senza nutrimento, con il termine metabolismo si deve intendere anche la capacità di nutrirsi.
Il metabolismo, deve necessariamente appartenere alla definizione di vivente.
Ora, noi sappiamo che già milioni di anni fa gli antenati del gatto attraversavano quei luoghi e per arrivare fino ai nostri giorni hanno dovuto riprodursi. Noi però non sappiamo se il nostro gatto avrà la possibilità o la capacità di riprodursi. Sappiamo tuttavia con certezza, che egli è un prodotto della riproduzione e questa certezza deve contribuire a definire il vivente.
Ma la riproduzione contiene una copia del genoma del genitore. Il genoma del genitore ha dovuto quindi replicarsi poco prima della riproduzione. Non ha senso parlare di riproduzione senza la replicazione del genoma. Il termine riproduzione deve quindi contenere la replicazione.
Sulla riproduzione ha agito la selezione naturale che ha permesso agli antenati del gatto di evolvere. Ma la selezione naturale non conosce il futuro e noi non sappiamo in che modo evolverà il gatto. Sappiamo tuttavia, con certezza, che i viventi sono prodotti dell’evoluzione dei propri antenati e questa certezza deve contribuire a definire il vivente.
E allora: la vita è uno stato della materia. Poiché esistono solo due stati, vita e morte, la vita è vita fino a quando non passa allo stato di morte, cioè fino a quando non si riconosce il “nuovo” stato, lo stato di materia inanimata.
Lo stato della materia che noi chiamiamo “vita” si regge su tre proprietà fondamentali: deve possedere un sistema metabolico ed essere un prodotto della riproduzione e un prodotto dell’evoluzione. La materia che non presenta simultaneamente queste tre proprietà fondamentali è materia inerte.
Nessuno in un automobile o in un cristallo riconosce un sistema metabolico ed essere il prodotto della riproduzione e dell’evoluzione. I cristalli di sale che si formano sugli scogli dopo l’evaporazione dell’acqua sono identici a quelli che si formavano miliardi di anni fa, nessuna differenza, nessuna evoluzione.
Il cane ammalato è temporaneamente impedito, ma possiede un sistema metabolico. È un prodotto della riproduzione e dell’evoluzione. Il cane ammalato è un vivente.  
enroquedeciencia.blogspot
Il mulo sopravvive per mezzo del metabolismo. È ininfluente se si riproduce o no, è però un prodotto della riproduzione e dell’evoluzione dei suoi antenati, la cavalla e l’asino. Il mulo è un vivente.
E i semi cui possiamo aggiungere anche le spore? Come i predatori che nascosti tra erbe e cespugli aspettano il momento giusto per attaccare la preda e sopravvivere, semi e spore protetti all’interno dei loro gusci aspettano pazientemente il loro momento per sopravvivere. Semi e spore hanno un sistema metabolico sono prodotti della riproduzione e dell’evoluzione delle piante, e di funghi e batteri. Semi e spore sono viventi.
Riassumendo: La vita è uno stato della materia che si regge su tre proprietà fondamentali: deve possedere un sistema metabolico ed essere un prodotto della riproduzione e dell’evoluzione.
La definizione di vita non può essere una percezione dell’osservatore ma far parte della teoria della selezione naturale di Darwin.
La cellula batterica è capace di metabolismo, è un prodotto della riproduzione e dell’evoluzione, essa è l’entità minima vitale, il primo stadio della vita su cui può agire la selezione naturale ed è quindi soggetta ad evoluzione.
Esistono però degli organismi che sono più piccoli dei batteri: i Virus. Si apre spesso il dibattito se i Virus siano da considerare organismi viventi o non viventi.
Luis P. Villareal esperto di virologia in “I Virus sono vivi?”, Le Scienze 2005, paragona i Virus ai semi in quanto a potenziale da cui può sgorgare la vita. Dorothy Crawford microbiologa tra i massimi esperti di virus è di parere opposto e nel suo saggio, “Il nemico invisibile. Storia naturale dei virus” 2002, scrive: «Diversamente dai batteri i virus non possono fare niente da soli. Non sono cellule ma particelle, e non hanno una fonte di energia né alcuno degli apparati cellulari necessari a produrre le proteine. Ciascuno di essi è composto semplicemente da materiale genetico circondato da un guscio proteico protettivo denominato “capside”. […] Ma per riuscire ad utilizzarlo devono penetrare in una cellula vivente e assumerne il controllo. […] Non appena un virus riesce a introdursi in una cellula, questa legge il codice genetico del virus che ordina “riproducimi”, e si mette al lavoro. In questo modo i virus invadono gli esseri viventi, ne requisiscono le cellule, e le trasforma in fabbriche per la produzione di virus». Inoltre, come ci informa ancora Crawford, fuori dalla cellula ospite i Virus non possono sopravvivere a lungo perché non dispongono dei processi metabolici di una cellula e quindi non sono capaci di nutrirsi.
La definizione di vita sopra esposta chiude definitivamente questo dibattito. I Virus non sono organismi viventi perché non presentano uno dei fattori che definisce la vita: il metabolismo.
Ma se i Virus non sono viventi ma particelle, sono simili ai sassi? Come scrisse il virologo Norman Pirie già nel 1934, sono sistemi che non sono né chiaramente viventi né chiaramente inanimati.
Se per indicare tali sistemi il termine Virus non è soddisfacente bisogna coniare un altro termine.
Abbiamo dato una definizione macroscopica della vita e individuato nella cellula batterica l’entità minima vitale, ma all’interno della cellula a livello molecolare, che cosa è la vita?
Nessuno scienziato ha mai avuto la pretesa di poter dare una risposta a questa domanda. La vita non si può identificare con una o con un gruppo di molecole. La vita è “emergenza”. Il termine emergenza si deve intendere nel significato dato da Ernst Mayr (opera citata): «La comparsa di caratteristiche impreviste in sistemi complessi». «Essa non racchiude nessuna implicazione di tipo metafisica». «Spesso nei sistemi complessi compaiono proprietà che non sono evidenti (né si possono prevedere) neppure conoscendo le singole componenti di questi sistemi».
Quindi, la vita emerge da sistemi complessi, ma già a livello di sistemi semplici il mondo inanimato presenta delle analogie con il comportamento dei viventi.
La miosina è una delle proteine che partecipa al trasporto di materiali nella cellula. Vedere la miosina muoversi lungo i filamenti di actina, all’interno della cellula, sembra una piccola creatura a due gambe. Se la miosina viene portata fuori dalla cellula è immobile, ma se gli si fornisce il combustibile inizia a muoversi. La miosina non è vivente e non ha nessuno scopo, è una macchina molecolare, svolge solo funzioni come la catalasi che decompone l’acqua ossigenata e come migliaia di altre proteine.
Pier Luigi Luisi nel suo saggio “Origine della vita e della biodiversità” 2013, ha messo in evidenza come vescicole prodotte da acidi grassi possono riprodursi con meccanismi tipici degli organismi viventi.
Nell’articolo “L’ORIGINE DELLE PROTEINE: 3) La sintesi dei polipeptidi” abbiamo visto come gocce di composti diversi situati nelle vicinanze sembrano avere comportamenti a noi familiari. L’acqua sembra scappare alla presenza di alcool etilico e l’acido solforico circondato da gocce d’acqua sembra alla ricerca di una via di fuga.  Questi fenomeni sono stati denominati “Chemiotassi del non vivente”. Il termine chemiotassi indica la risposta dei batteri alla presenza di nutrienti o di repellenti. Ma già dalla metà del secolo scorso Oparin aveva messo in evidenza come vescicole di polimeri (coacervato) divenute troppe grosse tendevano a dividersi. Anche Sydney Fox ha prodotto coacervati di proteinoidi termici e osservato che questi ingrossando si dividono in modo simile ai batteri. I coacervati proteinoidi di Fox hanno inoltre deboli capacità enzimatiche.
Ci sono insomma, in molecole e aggregati, alcune analogie che richiamano processi vitali, ma tutti questi fatti hanno una spiegazione scientifica. E allora, è sempre valida la conclusione di Richard E. Dickerson già espressa nel 1976 in “L’evoluzione chimica e l’origine della vita” Le Scienze: «Gli esperimenti di Oparin e Fox sono solo analogie di processi vitali, ma sono suggestivi. Dimostrano la misura in cui il comportamento di tipo vitale è radicato nella chimica fisica e illustrano il concetto di selezione chimica per la sopravvivenza».
Concludendo, non esiste un “Èlan Vital”, uno spirito vitale, il comportamento di tipo vitale, l’origine dei processi vitali è radicato nella chimica fisica.
Esistono però dei fatti inspiegabili, veri misteri, che sono al di fuori di possibili spiegazioni chimico-fisiche.
A livello molecolare metabolismo vuol dire migliaia di reazioni chimiche, che provvedono alla trasformazione del nutrimento in energia e componenti necessari al mantenimento e alla crescita. Ma metabolismo vuol dire fondamentalmente proteine enzimatiche. Come abbiamo illustrato nell’articolo “Proteine: le macchine molecolari”, le proteine enzimatiche costituiscono catene di montaggio, guide, controllo qualità e riciclo, trasporto materiali pompe proteiche ed elettromotori. Queste macchine molecolari sono il motore della vita, controllano anche il genoma e sicuramente sono esistite da sempre. Esse erano certamente molto più rudimentali, ma dovevano sicuramente far parte di un “proto organismo”. Ma chi c’è dietro queste macchine, di che cosa sono costituiti queste macromolecole eccezionali?
Di costituenti eccezionali, unici e universali: gli amminoacidi. (Vedi post 11 e 12)
I composti della chimica organica sono circa 1,5 milioni e ordinati in gruppi. Si dà il caso che solo il gruppo degli amminoacidi presenta simultaneamente sette proprietà che abbiamo evidenziato come “sette colpi di fortuna” e che possiamo riassumere:
1) Semplici e facili da sintetizzare
2) Solubili e stabili in acqua.
3) Non devono reagire in acqua.
4) Si devono legare tra di loro dando origine ad un legame peptidico in risonanza
5) Devono essere chirali.
6) Devono contenere un -Hδ+ residuo sull’atomo di azoto.
7) Il residuo R non è casuale.
Nessun altro gruppo di composti organici possiede caratteristiche simili, e se fosse mancata solo una di queste proprietà, non sappiamo come sarebbe stata la vita, e forse non esisterebbe.
Ma chi ha dato origine agli amminoacidi? La materia inanimata.
Insomma, la materia inanimata ha fornito il materiale, gli amminoacidi, con tutte le proprietà giuste per la vita. Essa tutt’intorno ha creato un vuoto chimico in modo che la vita in formazione non abbia da sbagliare. Ed è da qui, dagli amminoacidi che inizia un particolare tipo di materia: la materia organica, la materia della vita.
Il segreto della vita, se esiste, sta negli amminoacidi, nella loro origine e in questi “sette colpi di fortuna”.
Rimane allora la domanda: ma come ha fatto la materia inanimata a dare origine ad amminoacidi con tutte queste proprietà, giusto quelle proprietà necessarie alla vita, mentre la vita è ancora in divenire?  
A questa domanda la scienza non ha nessuna risposta perché esula dal suo dominio.

                                                                                                        Giovanni Occhipinti


Prossimo articolo: Ma infine la vita come ha avuto origine? (fine aprile)