domenica 3 luglio 2011

Extraterrestri: where are they?

Post n. 1

A riguardare le previsioni che, negli anni ´60 e ´70, i futurologi avevano previsto per i nostri tempi, non è che la stima per la futurologia sia al massimo. Secondo Michael Hanlon, autore del saggio “Eternità”, una trappola, in cui spesso cade chi fa futurologia, è l’eccessiva estrapolazione degli eventi del nostro tempo. Sempre secondo Hanlon un aspetto della futurologia che è sopravvissuto dall’epoca dei primi cristiani è l’idea religiosa dell’apocalisse che porta alla distruzione di parte dell’umanità, per cui oggi spesso va di moda affermare che non abbiamo futuro. La sua idea è che per fare futurologia bisogna seguire la “legge del meteorologo”: in assenza di dati certi, dai per scontato il fatto che il tempo di domani sarà più o meno come quello di oggi. Come sarà allora il “nostro” mondo, diciamo, tra cinquant’anni secondo Hanlon? Uguale a quello di oggi, con un po’ di tecnologia in più e con due problemi da tenere costantemente sotto osservazione: il riscaldamento globale e l’aumento della popolazione mondiale.
È difficile elencare tutte le apocalissi mancate. Già nell’anno Mille si credeva che la fine del mondo fosse imminente. Per rimanere ai nostri giorni basta ricordare gli scenari da incubi prospettati da: una guerra termonucleare, una nuova era glaciale, la fine dei combustibili fossili che si ripropone ogni ventennio circa, la distruzione dello strato di ozono, impatto della terra con un meteorite o con una cometa, virus geneticamente modificato, millennium bug, invasioni di extraterrestri e da ultimo qualche esperimento di fisica mal riuscito che dia origine ad mini buco nero che inghiottirebbe la terra.
Su questi scenari da incubi è sorto un florido commercio di carta stampata e di produzioni cinematografiche enormi. Si pensi che solo sull’eventualità di un conflitto nucleare sono stati prodotti, come riporta Hanlon, circa 40 film e che durante il millennium bug, paesi come la Russia, l’Italia e la Corea del sud non hanno preso quasi nessuna precauzione e non è successo nessun disastro, mentre si calcola che nel resto del mondo siano stati spesi circa 1000 miliardi di dollari.
Per concludere quando viene sparata una notizia da incubo, c’è chi corre a fare convegni o partecipa a dibattiti, chi corre nel deserto o in montagna per paura della fine del mondo e c’è chi corre in banca a depositare i propri lauti guadagni.
Non sono però convinto che nella futurologia prevale l’idea dell’apocalisse, penso invece che prevalga sempre l’idea del profitto. Lo dimostra la crisi finanziaria in cui siamo ancora immersi. Da vent’anni economisti, politici e futurologi ci prospettavano un mondo sempre più ricco e dove ben presto attraverso gli OGM si sarebbe risolto il problema della fame nel mondo.
Altro che apocalisse, per fare profitti, in questo caso, bisognava prospettare un futuro radioso e vendere insieme sogni e carta straccia.
Quando viene sparata una notizia oltre a seguire sempre la legge del meteorologo, sarebbe opportuno chiedersi anche: a chi giova?
La questione degli extraterrestri è sempre attuale, alimentata da una letteratura che non sembra conoscere tramonti, dalle fantasie della gente che vede ovunque strani oggetti luminosi, da programmi televisivi che ne aumentano il mistero, ma anche da autorevoli scienziati. Questi scienziati sono quasi tutti astrofisici o astrobiologi che in attesa di ricevere dallo spazio segnali alieni, che non arrivano, trovano gli alieni sul nostro pianeta. I più impegnati in questi campi di ricerca sembrano essere gli scienziati che lavorano alla NASA.
Ma infine gli extraterrestri esistono o non esistono e se esistono che aspetto hanno?
Si racconta che nel 1950, durante una pausa pranzo, un gruppo di scienziati, a Los Alamos, stesse discutendo sull’esistenza o meno di civiltà extraterrestri. Enrico Fermi, pensieroso e taciturno, approfittando di una pausa nella discussione pose una domanda: Where are they?
Il suo ragionamento era il seguente: viviamo in un universo vecchio di 14 miliardi di anni con 100 miliardi di galassie, ogni galassia contiene circa 500 miliardi di stelle, come mai non abbiamo percepito segnali di vita intelligente?
Secondo Fermi, almeno nella nostra galassia devono pur esistere sistemi solari che ospitano la vita e almeno qualcuna di queste forme di vita dovrebbe aver raggiunto una tecnologia molto più avanzata della nostra. Perché non li vediamo, dove sono? Tale domanda viene denominata: il paradosso di Fermi.
Prima di cercare di risolvere il paradosso di Fermi dobbiamo innanzitutto chiederci: ma la vita può avere origine ovunque, in pianeti simili al nostro, nell’universo? Tutti gli scienziati che si occupano dell’origine della vita sono convinti che la vita esiste anche al di fuori del nostro pianeta e che nell’universo sia anche molto diffusa. In una recente intervista Antonio Lazcano, biologo già presidente della società internazionale per l’origine della vita, ha confermato con forza questa idea. Però, alla domanda su come abbia avuto origine la vita sul nostro pianeta, Lazcano ha risposto: io privilegio la teoria del brodo prebiotico. Secondo questa teoria, proposta da Haldane nel 1930, l’atmosfera primitiva era un residuo dei gas della nebula che ha dato origine al sistema solare e quindi composta da CH4, NH3, H2, H2O. Da queste sostanze con apporti di energia dall’esterno si sarebbero formati le sostanze fondamentali per l’origine della vita. Queste trasportate dalla pioggia e dai fiumi, si sarebbero raccolte in un primitivo oceano che ha funzionato come brodo di coltura per successive sintesi di macromolecole e infine per la comparsa dei primi organismi viventi.
La maggior parte dei ricercatori che si occupano del problema dell’origine della vita ha la stessa idea di Lazcano: sono cioè convinti che l’universo brulica di vita ma accettano la teoria del brodo prebiotico.
Ma nel brodo prebiotico la vita può aver origine solo attraverso un evento casuale quasi “miracoloso”. E qui nasce una contraddizione che precede il paradosso di Fermi: da un lato si pensa che la vita è molto diffusa nell’universo, da un altro lato si accetta una teoria che considera l’origine della vita altamente improbabile. Per risolvere questa contraddizione è necessario abbandonare la teoria del brodo prebiotico che, da un punto di vista sperimentale, non ha dato nessun risultato (e ci confina anche a rimanere soli nell’universo) e riprendere la brillante teoria di Bernal sul ruolo delle argille nell’origine della vita. Nel 1951 J. D. Bernal suggerì che le argille avrebbero potuto selezionare e proteggere dai raggi ultravioletti le sostanze fondamentali per l’origine della vita e successivamente catalizzare la formazione delle macromolecole necessarie alla vita. In questo ambiente, come alcuni esperimenti di chimica prebiotica indicano, (riportati in: Chimica prebiotica ed origine della vita), l’origine della vita è conseguenza delle leggi naturali e può aver luogo dovunque si verificano le stesse condizioni chimico-fisiche.Se accettiamo l’origine della vita sulla terraferma, la vita nell’universo può essere molto diffusa e quindi l’esistenza degli extraterrestri non può essere esclusa, ma non ci sono prove certe.Come risolviamo il paradosso di Fermi?Secondo il filosofo svedese Nick Bostrom, come riportato da Michael Hanlon, se non abbiamo ricevuto segnali di presenza di civiltà extraterrestri, deve esistere una costrizione , un “grande filtro” che impedisce ai pianeti di tipo terrestre di sviluppare civiltà con tecnologie avanzate e viaggiare nello spazio o emettere segnali.
Immaginiamo la vita oggi sul nostro pianeta. Secondo Bostrom il grande filtro si può trovare nel passato o nel futuro rispetto a noi. Se si trova nel passato, vuol dire che la vita può essere diffusa su tutto l’universo, ma la probabilità che essa dia origine a forme di vita intelligenti è quasi nulla. Potrebbero esistere quindi, un numero enorme di pianeti dove la vita è più antica di 1 milione di anni o di 100 milioni di anni ma l’evoluzione, tra le infinite possibilità, non ha imboccato quella che porta all’intelligenza.
Che l’evoluzione abbia infinite possibilità, è un’opinione condivisa da molti scienziati. Questo concetto fu sintetizzato da S. Gould, paleontologo ed evoluzionista, nella famosa immagine: se riavvolgiamo la pellicola della storia della vita e riproiettiamo il film vedremo qualcosa di completamente diverso.
In definitiva pur essendo in grande compagnia, in un universo affollato, siamo gli unici a sentirne la solitudine.
Se il grande filtro si trova nel futuro vuol dire che l’intelligenza è diffusa, ma che l’intelligenza e quindi le civiltà avanzate si avvitano tutte in un attitudine autodistruttiva. Per esempio attraverso ordigni nucleari, oppure attraverso la creazione di una vita artificiale che li porta alla rovina, o la costruzione di macchine intelligenti rappresenta la fase terminale dell’intelligenza stessa.
In definitiva siamo in tanti ma condannati a rimaner confinati e destinati all’estinzione.
Bostrom naturalmente si augura che il grande filtro si trovi nel passato rispetto a noi, saremo si l’unica intelligenza ma possiamo sperare di conquistare l’universo.
Che tristezza ragazzi: o soli o condannati all’estinzione.
Ma l’evoluzione ha veramente infinite possibilità?
Il Retinol (nelle sue due forme stereoisomere) è una molecola organica molto complessa che, nella visione, produce una reazione alla luce e trasmette un segnale. È sorprendente, che tre linee evolutive diverse, vertebrati, molluschi e artropodi (insetti), in ambienti diversi, attraverso la selezione cumulativa e in modo assolutamente indipendente, abbiano sviluppato il meccanismo della visione. Ancora più sorprendente è il fatto che queste tre divisioni (phila), senza alcuna relazione evolutiva tra di loro, utilizzano la stessa molecola: il Retinol. L’universalità di questa molecola ci induce a pensare che non esistono altre soluzioni e porta organismi diversi ad una evoluzione convergente.
Mi viene da pensare che se riavvolgessimo il film della storia e alcuni organismi avessero bisogno della visione, essi svilupperebbero occhi e utilizzerebbero il Retinol: ma allora la sequenza di alcuni fotogrammi faranno parte di un film già visto.
L’esempio illustrato non è il solo esempio di evoluzione convergente. Essa più in generale riguarda specie che, pur vivendo in parti del mondo molto lontane e diverse, hanno sviluppato, per la loro sopravvivenza, la stessa specializzazione. Secondo Conway Morris, come riporta C. De Duve, quando esiste una pressione selettiva sufficiente, la stessa soluzione può essere trovata non una sola volta ma ripetutamente. Dopo una riflessione sulla resistenza ai farmaci, il mimetismo e i casi di evoluzione convergente sempre più numerosi fanno concludere a C. De Duve: […i percorsi evolutivi possono essere stati spesso, dati certe condizioni ambientali, quasi obbligatori più che contingenti e irripetibili, come sostiene il sapere tradizionale].
E se aggiungiamo che secondo Darwin l’evoluzione conduce tendenzialmente a forme più elevate, allora non solo alcuni fotogrammi, qui se riavvolgiamo la pellicola della storia della vita e la riproiettiamo vedremo pezzi interi di un film già visto. E siamo solo agli inizi.
Allora siamo condannati all’estinzione?
Negli ultimi anni, alcune costrizioni cosmologiche, sembrano aggiungere qualche difficoltà all’evoluzione della vita in pianeti simili al nostro. Senza scendere nei particolari sembra sia necessaria la presenza di un pianeta gigante come Giove per farci evitare impatti con asteroidi e comete e la presenza di una Luna per stabilizzare l’asse della terra. Infine si sono aggiunti la necessità di un campo magnetico intenso, un’adeguata rotazione del pianeta e la giusta distanza dal centro della galassia. Trovare nella Galassia un pianeta che soddisfi queste condizioni è un problema un po’ arduo. Nel suo saggio “Fisica dell’impossibile” M. Kaku riporta [Come hanno scritto Peter Ward e Donald Brownlee “riteniamo che la vita, sotto forma di microbi e altri organismi equivalenti, sia molto diffusa nell’universo… È probabile, invece, che le forme complesse, gli animali e le piante superiori, siano molto più rare di quanto si fosse soliti pensare”. In realtà Ward e Brownlee non escludono la possibilità che la terra sia, nella Galassia, l’unico pianeta popolato da forme di vita animale]. Man mano che le conoscenze scientifiche avanzano abbiamo spostato gli alieni da Marte alla costellazione di Orione indicate dalle tre piramidi di Giza e adesso in un’altra Galassia. È opportuno ricordare che il diametro della Galassia corrisponde a 100000 anni luce e anche a voler viaggiare, quando ci riusciremo, a 300000 Km l’ora, per attraversarla avremmo bisogno di 360 milioni di anni.
Insomma se la Fisica non scopre nuove leggi, qui siamo e qui, soli, resteremo. Riferendosi agli sforzi che alcuni scienziati stanno compiendo alla ricerca di segnali di vita extraterrestre, C. de Duve conclude: [Se la ricerca, come pare molto probabile, dovesse rivelarsi negativa, questo insuccesso non fornirebbe in alcun modo una prova della singolarità della vita e della mente, e neppure della loro rarità. Contemplando il cielo saremmo sempre liberi di sognare «altri mondi»].
In definitiva, noi conosciamo solo una vita e a voler seguire la “legge del meteorologo”: in assenza di dati certi se c’è vita nell'universo sarà pressappoco simile alla nostra, e se nessuno è arrivato oggi non aspettiamoci nessuno anche domani.


                                                                                                                 Giovanni Occhipinti



Bibliografia

Eternità, Michael Hanlon
La vita meravigliosa , Stephen J. Gould
Lezioni di biofisica vol. 3, Mario Ageno
Alle origini della vita, Christian de Duve
Fisica dell’impossibile, Michio Kaku
Siamo soli? Paul Davies

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